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Dall'impero Romano ad oggi
L’origine del Cane da Pastore Bergamasco si perde nella notte dei tempi e si confonde inevitabilmente con quella di tante altre razze da pastore europee.La presenza dei suoi più diretti predecessori è storicamente accertata, lungo l’intero arco alpino, sin dai tempi dell’impero romano.
Gli storici di allora descrivono un cane a pelo lungo e dal color bianco sudicio (nel quale è facile riconoscere il color caffèlatte, tecnicamente definito color “isabella”), utilizzato con grande soddisfazione dalle popolazioni cisalpine, al seguito delle greggi e delle mandrie al pascolo.
Le carovane di popolazioni barbariche che nel tempo attraversarono le Alpi ebbero l’effetto di disperdere questa razza tipica dei luoghi che venne via via sostituita od incrociata con altre razze sino alla sua progressiva ed ingiustificata scomparsa.
Da allora cadde l’oblio su questa razza e non se ne seppe più nulla sino agli inizi del 900, quando alcuni appassionati cinofili ne ritrovarono alcuni esemplari nelle valli bergamasche.
E’ solo grazie alla tradizionale autonomia delle genti bergamasche, gelosamente arroccate sulle proprie montagne, che gli ultimi esemplari di questo mitico cane continuarono a vivere, lavorare e riprodursi, evitando così la totale estinzione e da cui deriva appunto l’appellativo di “Bergamasco”.
Le Valli Bergamasche, infatti, sono da considerare, sotto questo punto di vista, un’autentica nicchia ecologica.
I "Bergamini" e il lavoro del cane bergamasco
Il flusso delle popolazioni che scendevano dal nord europa evitò sempre le brulle ed apparentemente deserte Valli Bergamasche per utilizzare il più comodo e solare tragitto della Valtellina.
A loro volta gli abitanti delle Valli Bergamasche, fieri ed indomiti montanari, preferirono sempre evitare il contatto con altre popolazioni e per centinaia di anni perpetuarono usi, costumi e consuetudini propri, totalmente impermeabili ad ogni influsso esterno.
Il fatto in sè non sarebbe stato però sufficiente a salvare una razza canina.
L’altro elemento determinante fu l’intenso e difficile lavoro che questo cane era chiamato a svolgere e che fu anche motivo di una selezione incredibilmente severa, tale da creare nel tempo una razza particolarmente forte e robusta, ma anche attenta e sensibile, in grado di svolgere con grande merito un’attività estremamente difficile ed impegnativa: la conduzione della mandrie negli impervi ed insidiosi pascoli di montagna. Per secoli e secoli, sino a poche decine di anni orsono l’economia locale è stata prevalentemente agricola.
Se in montagna la fatica e l’impegno non venivano certo premiati dai sempre modesti raccolti, nelle stalle di pianura venivano allevate mucche in grande quantità.
Con l’avvento della primavera era però necessario, se non indispensabile, condurre le mucche all’alpeggio dove poter trovare sufficiente nutrimento senza impoverire i pascoli d’origine, utilizzati per altre più preziose colture.
Nel mese di aprile quindi, dalle montagne bergamasche scendevano a valle i “Bergamini”, unico esempio conosciuto in Italia di mandriani transumanti, che coadiuvati dai loro insostituibili cani, raccoglievano mandrie di 6/700 capi, dette anche “Bergamine”, per poi condurle, con un viaggio che durava settimane, sino agli alpeggi dei duemila metri.
I Bergamini rappresentano un esempio estremanente tipico della cultura orobica. Essi svolgevano la propria attività sia sul versante lombardo delle Alpi sia su quello svizzero senza apparenti distinzioni; normalmente abituati a vivere sotto le stelle in condizioni di grande difficoltà e fatica, erano legati fra loro da vincoli solidali fortissimi; in particolare avevano sviluppato una propria lingua, il “Gaì”, ancora più ostico del già incomprensibile dialetto bergamasco, per mezzo del quale comunicavano passandosi informazioni preziose sulla percorribilità dei valichi, sulla possibilità di trovare cibo e riparo per la notte o su come contrabbandare merci di prima necessità evitando problemi con la polizia di frontiera.
La vita dei Bergamini era estremamente disagiata, ma una volta scelto il percorso gran parte del lavoro veniva scaricato sui cani che, bilanciandosi infaticabilmente dal vertice alla coda della mandria, la tenevano compatta e la guidavano attraverso difficoltà e pericoli per giorni e giorni sino alla fine della stagione.
La notte poi, toccava sempre ai cani assicurarsi che la mandria non si scomponesse o vigilare contro il pericolo di furti o affrontare il predatore più temuto: il lupo.
Un volta raggiunta la malga predestinata, l’attività motoria diminuiva, ma l’impegno aumentava.
Di buon mattino, terminata la mungitura, le mucche escono dal “barech” (recinto, detto anche stazzo) ubicato nei pressi della malga e devono essere condotte sui pascoli più impervi e per questo motivo più ricchi di erba; lì vanno mantenute sino al primo pomeriggio malgrado la loro ritrosia a muoversi su terreni scoscesi.
Questo tipo di attività richiede cani con un carattere estremamente determinato e capaci di fronteggiare il pericolo senza esitazione alcuna.
Si pensi che quando le cime delle montagne si rannuvolano ed i temporali si avvicinano, le mucche cercano istintivamente riparo nei boschi che circondano gli alpeggi; muovendosi a passo di trotto rischiano di azzopparsi giù per le chine scoscese o, peggio, di finire in qualche dirupo.
In queste occasioni, che possono capitare sia di giorno che di notte, bastano pochi cani, naturalmente Bergamaschi, che raggiungono velocemente le avanguardie della mandria e, con un rapido ed a volte violento scontro frontale, bloccano istantaneamente la corsa e riconducono il gruppo nel luogo prestabilito dal mandriano.
Ai Bergamini in malga si accompagnava sempre un “Casaro” al quale era ed è tutt’ora affidato il compito della trasformazione del latte quotidianamente munto nel tipicissimo “Formai de Mut”. Il “Branzi”, il “Taleggio” e le svariate formaggelle di malga costituiscono appunto il frutto di questo lavoro.
Tutt’oggi, i Bergamini ed i loro cani, benchè parzialmente sostituiti da più comodi trasporti carrali, mantengono in loco inalterati ritmi di lavoro e le abitudini di un tempo. Per definizione, consolidata tradizione e conseguente selezione, il Bergamasco deve essere considerato quindi un Bovaro e non un cane da gregge come molti erroneamente pensano; questo fatto non significa che il Bergamasco non sia capace di condurre anche le pecore; tutt’altro, un soggetto addestrato conduce indifferentemente qualunque animale, dalla tipica pecora gigante bergamasca ai cavalli.
Il particolare risulta viceversa molto importante per definire con esattezza il suo standard e le sue dimensioni, sicuramente più importanti di quelle che vengono normalmente attribuite ai cani da gregge.
Caratteristiche della razza
Il Bergamasco è un cane di media taglia; l’altezza al garrese è compresa, per i maschi, fra i 60 ed i 62 centimetri, e per le femmine, fra i 56 ed i 58 centimetri, ma non c’è da meravigliarsi, proprio in funzione del fatto che si tratta di un bovaro, che possa essere anche più grande.
E’ sintomatico il fatto che nell’esposizione nazionale di Novara tenutasi il 12 dicembre 1930 venne presentata una femmina di nome Lea che misurava ben 63 cm al garrese e che ottenne il 1° premio.
Il colore più tipico del mantello è il Grigio a macchie, ma sono ugualmente riconosciuti il Nero Zaino e l’Isabella (color caffèlatte).
Il colore degli occhi è scuro, come pure il tartufo ed i polpastrelli devono essere neri.
Il Bergamasco, oltre che conservare intatto l’istinto del pastore, ha sviluppato, nella solitudine degli alpeggi, un forte attaccamento al proprio padrone con il quale condivideva, oltre che il lavoro, anche il cibo ed il giaciglio.
Il Bergamasco è pertanto abituato ad ascoltare il proprio padrone ed assimila in fretta i comandi che gli vengono impartiti.
Fra le infinite necessità della pastorizia spicca quella di far pascolare le greggi o le mandrie senza che queste sconfinino nei campi coltivati o nella proprietà altrui.
Il Bergamasco è quindi abituato ad individuare le differenti colture ed in genere tutti i segnali che il territorio presenta.
Parallelamente è attratto dalle linee di confine e, percorrendo una strada od un sentiero, tenderà a farlo solo lungo uno dei due lati.
Il morso è un complemento delle sue capacità essendo in grado di dosarne l’intensità con estrema precisione, il che lo rende particolarmente affidabile.
Per carattere si sentirà sempre amico e collaboratore dell’uomo e non un semplice automa; riuscirete ad insegnargli qualunque cosa, ma mettete in bilancio che potrebbe rifiutarsi di ubbidire ad un ordine inutile od assumere iniziative di difesa senza che mai l’abbiate addestrato allo scopo.
E’ comunque grazie alla sua proverbiale adattabilità che lo ritroverete sempre al vostro fianco, in cima alle montagne od in fondo ai piedi del letto.
Il pelo e la tosaturta
Passiamo infine all’argomento più discusso e discutibile: il pelo.
Essendo un cane di montagna il “Bergamasco” è protetto da un pelo abbondante.
Il lavoro in montagna è molto faticoso ed è indispensabile garantire al cane la maggior agilità e leggerezza possibile.
Da sempre tutti i cani vengono tosati a primavera in modo da affrontare l’intera fase lavorativa in piena libertà; già a fine stagione ogni soggetto avrà prodotto sufficiente pelo da garantirgli una morbida e calda pelliccia per tutto l’inverno.
Questa è un’usanza certa, consolidata ed indiscutibile.
I cani rimangono agili, puliti e freschi anche sotto il sole dei duemila metri.
La pessima usanza di lasciare che il pelo cresca sino a strisciare per terra, oltre che non essere tipica e del tutto infondata, è fonte di grande disagio e malattie per il cane senza peraltro produrre alcun risultato positivo.
Il pelo lungo riduce fortemente la mobilità del cane pregiudicando le sue caratteristiche peculiari quali l’agilità e la prontezza.
Anche l’igiene e la pulizia vengono seriamente compromessi e con essi la possibilità di godere della sua impagabile compagnia.
Per convincere anche i più scettici propongo di allargare gli orizzonti ed osservare nel suo insieme la grande famiglia dei cani a pelo lungo europei, dal Briard al Bobtail.
Ogni nazione sostiene che è stata la propria razza ad originare le altre; forse nessuno ha ragione ma è certo che le varie razze sono tutte strettamente imparentate e perciò simili; infatti tutti producono un sottopelo finissimo che tende naturalmente ad infeltrirsi ed a formare un grumo inestricabile, che nei Bergamaschi si chiama taccola.
Se la taccola non viene rimossa continua a crescere creando disagi impensabili; i nostri mandriani, ma anche quelli francesi o inglesi, non hanno il tempo di pettinare i propri cani e provvedono alla loro toelettatura con tosature periodiche, ma nessuno si sognerebbe di lasciar crescere il pelo sino a terra, innanzitutto per il grande rispetto che portano al loro cane.
Tra una tosatura e l’altra, effettivamente, il pelo che si raggruma può avere una sua funzionalità, ma solo ed esclusivamente se viene ad assumere una forma larga e piatta, come delle vere e proprie tegole, capaci quindi di svolgere una funzione genericamente protettiva sino a quando non superano gli 8/10 centimetri.
Questo discorso è valido per un soggetto che lavora e che è esposto a molti pericoli, ma è assurdo estenderlo al cane di casa; quel che è peggio se il pelo non viene accorciato perde ogni utilità e finisce per diventare un autentico spazzolone che raccoglie sporcizie ed escrementi senza soluzione di continuità.
Entrando ancora di più nello specifico bisogna aggiungere che il Bergamasco è caratterizzato da due differenti tipi di pelo: prevalentamente caprino nella sua metà anteriore e prevalentemente pecorino nella metà posteriore.
Il pelo caprino è per definizione ispido e non si infeltrisce; la presenza delle taccole deve quindi essere ammessa solo ed esclusivamente nella parte posteriore, dove la prevalenza di pelo lanoso favorisce la formazione dei grumi di pelo; qualunque eccesso di taccole non deve essere considerato un merito, bensì una grave degenerazione della razza.
Girovagando per le campagne francesi ho personalmente visto più di un Briard coperto di taccole, ma nessun francese è orgoglioso di proporre un cane sporco e pretende che alle mostre canine sfili pulito e pettinato.
La Provincia di Bergamo (interessante manuale scritto da Luigi Re, editrice Bolis, 1957) dedica un discreto spazio al Pastore Bergamasco e lo rappresenta in fotografia con il pelo fluente, senza nemmeno una taccola.
I Bollettini Ufficiali del Kennel Club Italiano degli anni venti ritraevano cani dal pelo lungo e fluente, quasi senza taccole. Perchè allora i Bergamaschi, anzichè puliti e pettinati, sfilano goffamente appesantiti da orribili (e qualche volta puzzolenti) pellicce, sempre costretti a mostrare la parte peggiore di sè ?
La gente si avvicina incuriosita, ma poi rimane inevitabilmente spaventata dallo spettacolo non sempre edificante ed è forse anche per questo motivo che la razza sopravvive al limite dell’estinzione con una natalità bassissima, triste fanalino di coda delle razze da pastore europee.
C’è da chiedersi comunque il perchè di questo pelo spropositato ed ingiustificato, specie in considerazione del fatto che si tratta di un fenomeno recentissimo, giusto degli ultimi 20/30 anni.
La risposta che trovo più convincente è, secondo me, dovuta al fatto che sul Bergamasco non si è mai effettuata una autentica ricerca storica, estesa a tutto il suo mondo circostante, in grado di colmare i vuoti di conoscenza e dalla quale poter ricavare induttivamente la realtà storica, ma si è sempre viceversa preferito prendere per buone anche le teorie più stravaganti od eccentriche.
Senza un’approfondita ricerca che supporti con dati di fatto e riscontri inoppugnabili le teorie che ognuno ha (troppo) liberamente espresso, qualunque testo scritto rimane la semplice opinione di questo o di quell’esperto, ma non può e non deve condizionare la vita del cane di casa e nemmeno quella di un’intera razza.
Considerando che questo arbitrio estetico non solo fa male al cane, ma ci impedisce di godere delle grandi doti di cui è ricco il Bergamasco invito da tempo tutti i suoi possessori ad avere nei suoi confronti un gesto di doveroso affetto, come si conviene a maturi ed onesti cinofili, ma devo riconoscere che il mio appello cade ancora nel vuoto: l’abitudine di maltrattare il “Bergamasco” lasciando che il pelo cresca a dismisura è ancora pervicamente e incredibilmente radicata, difficile da estirpare .Mio nonno era un Bergamino, ho 50anni e sono nato con i Pastori Bergamaschi in casa e da ormai trent’anni li allevo e li seleziono professionalmente. La mia conoscenza del Bergamasco è empirica, ma decisamente profonda e sicuramente molto più ampia di altri che si limitano ad accoppiare i Bergamaschi, magari da 40anni, senza sapere nulla della sua vita e della sua storia.
E’ per questo motivo che quando mi chiedono le caratteristiche principali del Bergamasco, da tempo ormai rispondo: “Il BERGAMASCO è un cane a pelo lungo, ma se il pelo è troppo lungo significa solo che il suo padrone se ne disinteressa e lo maltratta.”
Come vi dicevo, di questo oscuro e nobile protagonista di tante pagine della nostra storia si è scritto molto poco e non sempre correttamente, ma di lui si possono ancora ritrovare infinite citazioni nella memoria popolare.
La tradizione orale tramanda infiniti episodi che ben rappresentano l’animo del nostro cane che non si limitò ad essere il più valido e fidato collaboratore dei madriani bergamaschi, ma fu anche capace di svolgere un’infinità di incombenze e mansioni con zelo e spirito di sacrificio degni del miglior amico dell’uomo.
Fra i tanti, il più famoso, è legato al personaggio del Pacì Paciana, ol Padrù de la Val Brembana, una sorta di nostrano Passator cortese che visse di brigantaggio nella seconda metà del settecento, scorazzando liberamente per le valli bergamasche.
Narra infatti la leggenda che il Pacì Paciana, inseguito dai gendarmi che da anni gli davano la caccia, si salvò rocambolescamente la vita gettandosi dal ponte di Serina direttamente nel fiume Brembo.
La sua fuga fu tenacemente e coraggiosamente coperta dal suo cane, naturalmente il nostro “Bergamasco”, che rimase sul ponte ed affrontò i gendarmi, offrendo la propria vita per salvare quella del suo padrone.